Quello che conta è invisibile agli occhi

di Cecilia Trinci – istruttore nazionale I livello FITARCO

Da alcuni anni, a Firenze e ad Asti, viene praticato il tiro con l’arco anche dai non vedenti.

Può sembrare impossibile che, senza mirare, si possa centrare un bersaglio alla distanza di 18 metri, ed in realtà siamo abituati a privilegiare talmente le infinite informazioni che ci provengono dalla vista, da mettere in secondo piano possibilità diverse. Dobbiamo ricordare però che, pur essendo un aiuto di fondamentale importanza, la mira non può, da sola, garantire un buon risultato dal momento che è sempre la corretta esecuzione della sequenza di tiro e l’allineamento scheletrico a fare di un tiratore un bravo arciere. Su queste due considerazioni si basa il tiro con l’arco per non vedenti i cui punti di forza sono costituiti appunto dall’allineamento della persona rispetto al bersaglio, dal controllo propriocettivo di tutte le fasi della sequenza di tiro e dalla capacità di concentrarsi.

Dobbiamo considerare che le difficoltà sono enormemente maggiori rispetto ad un tiratore vedente, non solo per l’impossibilità di mirare, ma anche per tutta una serie di carenze di ordine conoscitivo e di supporto. I controlli che un arciere fa prima e durante la sequenza sono tutti di carattere visivo: non solo il fatto di mirare ma anche traguardare la corda, abbinare arco-freccia al bersaglio e anche all’ambiente circostante. Inoltre la conoscenza della distanza è per il vedente abituale e istintiva, mentre chi non vede conosce solo lo spazio a misura del proprio braccio, o, al limite, a misura del proprio bastone. Una distanza di tre metri non dà sensazioni o emozioni diverse di una distanza di 20 metri! Inoltre chi non vede non è abituato a dominare la distanza, ma anzi è abituato a subirla, a sentirsi limitato nella capacità di gestire il suo rapporto nello spazio. In questo senso il tiro con l’arco apre al non vedente possibilità inusuali che oltre ad essere esaltanti sono anche estremamente educative sul piano della qualità della propria vita.

I due gruppi adottano tecniche diverse. Il gruppo di Asti si serve anche di un sostegno meccanico che, opportunamente orientato, suggerisce al tiratore l’orientamento della mano che regge l’arco; una pedana fissa segna il posto per i piedi la cui collocazione è fondamentale per porsi allineati al centro del bersaglio. Il gruppo di Firenze si affida invece alla sola memoria motoria, lasciando un suggerimento tattile per i piedi, ma rifiutando qualunque supporto meccanico esterno perché si ritiene che questi possano influenzare negativamente la capacità di concentrarsi sul proprio gesto e sul riconoscimento delle sensazioni motorie. Queste, invece, una volta assimilate e registrate a fondo, sono capaci e sufficienti, da sole, ad essere guida per l’esecuzione del movimento giusto. In altre parole, una volta collocati i piedi in direzione del centro del bersaglio il resto dei movimenti sarà tutto consequenziale. Un buon coordinamento, uno stato di giusto rilassamento muscolare, la sicurezza acquisita dalla memorizzazione del gesto corretto daranno risultati insperati. In tal caso si preferisce porre l’attenzione solo sulla persona, senza ricorrere ad appoggi esterni o ausili di alcun tipo. Questa scelta anche se presenta maggiori difficoltà per l’arciere può dare risultati più soddisfacenti sia per la maggiore somiglianza del tipo di tiro a quello dei normodotati, sia per i risultati oggettivi ottenuti anche nei punteggi, come si è visto negli ultimi campionati. La presenza in piazzola dell’istruttore che può dare piccoli suggerimenti verbali, rientra nella consuetudine dello sport per non vedenti, che riconosce sempre la presenza di una “guida” vedente, come ad esempio nell’atletica o nello sci che hanno raggiunto le Paraolimpiadi.

Certamente i tempi di apprendimento saranno più lunghi che per un vedente anche per quelle carenze conoscitive di cui abbiamo parlato. In generale, infatti, chi non vede conosce solo, della realtà esterna, quello che ha potuto toccare. Per assurdo può darsi che un non vedente dalla nascita non conosca un gatto, se non lo ha mai toccato e sicuramente pochi sapranno descrivere in modo corretto un aereo o anche un grande albero o, ancora più difficile, il cielo.

Per gli ipovedenti il problema conoscitivo è minore dal momento che possono ricorrere a categorie di concetti di cui conoscono le caratteristiche, ma, in fase di esecuzione le difficoltà saranno simili, dal momento che il bersaglio non arriva nel loro campo visivo ed è impossibile anche per loro mirare e controllare lo spazio.

Chi non vede conosce le cose attraverso l’udito o il tatto e quelle che sono troppo lontane o che non producono rumore non esistono nella sua specifica realtà. Colpire un bersaglio con una freccia impone a chi non vede un percorso complesso: immaginare quell’intervallo spaziale tra lui e il paglione, immaginare quel punto invisibile da colpire, colpirlo con un gesto di cui può avere solo un controllo dall’interno di sé, senza potersi autosservare. Riceverà un rumore in risposta che imparerà ad interpretare come insuccesso (freccia al suolo) o successo più o meno parziale (un tipo di rumore per il centro, un altro per i contorni esterni del paglione). Quel rumore animerà il suo spazio sconosciuto e se per qualsiasi arciere colpire il bersaglio è un successo, per un non vedente significa aver acquisito una grande capacità di concentrazione e di controllo di sé. La scuola che lo porta a questo è la stessa che lo può guidare nella vita comune a non scoraggiarsi, ad essere tenace nel raggiungere “bersagli” di qualunque natura. E se questa caratteristica può essere comune a molti sport, il tiro con l’arco, al di là della sua contraddizione solo apparente con il concetto del non vedere, risulta accessibile anche a chi non ha particolari doti atletiche, non richiede ricchezza di movimenti mentre invece sprona alla ricerca di se stessi, al miglioramento dell’autostima, alla ricerca sempre maggiore di autonomia, insegna ad essere tenaci e costanti. Inoltre migliora l’equilibrio, potenzia la muscolatura e aiuta a migliorare la postura, tutti obiettivi di fondamentale importanza per i disabili visivi.

Dopo anni di sperimentazione solo nel 2001 è stato riconosciuto ufficialmente come sport praticato dai non vedenti nel corso dei Campionati Italiani F.I.S.D. di Cavareno (Trento) a cui hanno partecipato come atleti Massimo Franciolini, Alessandro Tanini, Giacomo Montanari (del gruppo di Firenze) e Massimo Oddone (di Asti). Nel 2002, agli stessi atleti si è unita Barbara Vetere, di Firenze che è diventata la prima Campionessa Italiana non vedente di tiro con l’arco.

Il gruppo di Firenze è guidato da Cecilia Trinci, istruttore Fitarco, affiancata da collaboratori come Nedo Vannucci, istruttore Fitarco e Arianna Donati, istruttore FIARC.

Sulla storia di questo gruppo, nato nel 1992 si potranno avere successivamente altre notizie.